E' il titolo di un articolo di qualche anno fa e che ho letto solo poco fa.
Scritto da una motociclista ma talmente bello che ho pensato di postarlo.
ok noi vespiste abbiamo cilindrate limitate (eccetto alcune hanno entrambe) ma credo che le sensazioni e alcune esperienze siano simili..
davvero bello
Saremo il vento
C’è stato un tempo per guardare, un tempo per imparare, uno per provare e poi, finalmente, uno per andare...
Guardavamo quando all’inizio non eravamo mai entrate in un paddock, non avevamo mai visto da vicino pistoni e forcelle, cilindri e sospensioni... guardavamo le moto sfrecciare, senza capire dove e perché stessero andando, senza conoscere né immaginare il piacere di farsi graffiare dal vento e dall’asfalto; guardavamo quegli uomini che alle comodità preferivano il grasso sulle mani e sulle tute, il frastuono del rombo dei motori, quegli uomini che alla cura delle persone sovrapponevano la cura delle cromature più segrete della propria motocicletta.
Guardavamo. Un po’ da lontano, da un angolo nascosto, senza che nessuno si accorgesse.
Un po' imbarazzate da questa curiosità abbiamo guardato a lungo. Imparavamo.
Dai nostri amati talami imparavamo a riconoscere il suono del due tempi dal quattro, la rotazione che un motore a due cilindri o a quattro imprime alla moto; a distinguere il rosso Ducati dal Guzzi; a contare sul palmo della mano tutti i bulloni arrugginiti di un V35; a regolare - chine nel porgere una chiave a 12 - le puntine incrostate di un vecchio due tempi cecoslovacco. Addette qualche volta al rabbocco dell’olio, misuravamo coi polpastrelli quel grasso che trasuda per un gommino ormai consunto; assorte a far girare ritmicamente una gomma posteriore, imparavamo ad ingrassare la catena, a controllarne la tensione. E finalmente, sulle rigide selle d’un tempo, abbracciate ad un fratello, un padre, un fidanzato, un amico, ci abbandonavamo ai profumi della primavera ed al vento.
Dai nostri amati talami imparavamo.
Finché un giorno, per caso, ci si ritrova a pensare a come potrebbe essere stare lì davanti, con le mani sul manubrio e i moscerini sulla visiera del proprio casco. A come deve essere quel senso di libertà che si prova quando sei da sola, e le cose ti corrono incontro. E il gas che tu dai col polso destro è la velocità con cui decidi di attraversare quelle cose; è il tempo che hai per reagire; è il ritmo, lento e tranquillo, oppure immediato e veloce, con cui in quel momento ti va di vivere, conoscere, rispondere. Quando non c'è nessuno, proprio nessuno, ma te soltanto, a dirti cosa fare.
Così abbiamo provato. Nei cortili, nei parcheggi, nei paesi deserti, nelle città abbondate in agosto. Con le moto più malandate, con gli avanzi di garage, ma qualche volta anche coi gioielli di famiglia - prove di fiducia e di amori inestimabili.
... Finché, finalmente, viene un tempo per andare.
Andare, da sole e incontrare altre motocicliste; andare, da sole e rimorchiare surfisti; andare al mare e dormire in tenda con la moto accanto, che guardi attraverso la zanzariera prima di addormentarti; andare, in compagnia e ingarellarsi cogli amici; andare in pista e sentire solo te, il gas e le pedane grattare; andare in due e fermarsi al tramonto. Semplicemente, andare in motocicletta.
C’è da sentirsi strane qualche volta, da essere guardate come alieni con le antennine verdi in testa, da essere considerate una provocazione o una sfida; alcuni ti mandano saluti e baci dalle macchine, e approvano con l'energia che sarebbe della loro libertà, tenuta nascosta da qualche parte.
dal sito: motocicliste.net