L’unica possibile in quel momento di disordine, d’instabilità,
di rapporti impossibili con i sindacati, di scioperi, di
disordini, di sabotaggi. Non rimaneva altro che dare una
spallata e quindi si decise, su mia proposta, di fare qualcosa.
Si prese spunto da una manifestazione di facinorosi che,
dopo aver fermato la produzione, furono licenziati. Era un
fatto inaudito, perché in quegli anni nessuna azienda si
permetteva licenziamenti per motivi disciplinari. Cominciò
una reazione violentissima del sindacato, che arrivò non
solo a protestare, ma anche a bloccare le fabbriche. Tutto
ciò andò avanti, di fronte allo sbigottimento generale del
Paese. Ma il momento culminante fu la reazione della
popolazione di Torino, che decise in maniera spontanea di
muoversi in un corteo di protesta contro l’impossibilità di
lavorare: di fronte a questo corteo dei 40 mila, passato
alla storia come reazione di saturazione alle continue
pressioni di natura demagogica e politica, sembrò
che il mondo sindacale si svegliasse. Venne raggiunto
un accordo nel quale si confermarono i licenziamenti
e si dava la possibilità di manovrare nelle fabbriche
mantenendo disciplina e ordine. Fu quello il punto
culminante della partenza della ristrutturazione.
I sindacati si resero conto di non avere più il consenso
popolare. E qui partì il rilancio, sotto la sua regia...
Il rilancio si basava sulla pace sindacale, sulla possibilità
di gestire le fabbriche in maniera efficiente, sulla
riorganizzazione del settore auto, che negli anni era
stato costruito in una maniera stratificata. Tante marche,
tanti personaggi a gestirli, conflitti interni: c’era da
mettere ordine. Una parte fondamentale del lavoro fu la
ristrutturazione delle fabbriche e l’apertura di impianti
nuovi, con enormi investimenti. Io ho fatto quello che
qualsiasi amministratore avrebbe fatto. La cosa principale
fu partire dall’analisi del mercato, valutare i prodotti della
concorrenza e i nostri, rilanciare una gamma di prodotti
con le tempistiche corrette, reperire i capitali necessari
e così via. Attività che sembrano banali, ma che in quelle
condizioni erano difficili, perché c’era da ricreare uno spirito
vincente in un’azienda che in quel momento era perdente.