La super nel 1991 costava 1200 lire e la nafta tra 800 e 1000, poi verso la metà degli anni '90 è andata oltre i 1500 fino a poco prima dell'Euro quando arrivò a 1700.
Permettetemi un po' di futurismo (alla Tommaso Marinetti)

SuperNormaleDiesel Alfetta rrrrrrrrooooooombaaaante checorrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrreeeee velocissssssssssssssimaaaaaaaaaaaaa come il vento e nessuno la batte. L'Alfetta e i suoi 4 fari col coraggio, che salvò la vita a mio padre nel '75 e poi a me venendo al mondo. L'Alfetta che da quasi trent'anni non c'è più eppure viene nominata con amore e rispetto, come una persona cara. L'Alfetta che è diventata un simbolo del coraggio e dell'Italia degli anni Settanta. L'Alfetta cui, ancora oggi, io e mia figlia di sette mesi andiamo a telefonare perché, velocissima, le faccia fare un giro e la porti dai nonni lontani.

Da qualche parte nel mondo, quei quattro fari - forse - lampeggiano ancora. E con lei girano ancora i tamburi delle pompe della super, con mio padre a dirci: "Guardate se parte da zero" al momento del pieno; quelle della miscela e un'Italia dalle mani che, come la Vespa e la Lambretta, sapevano di ferro minerale, impegno, concretezza. Altro che gli anni liquidi e perfettini di ora. Le pompe della miscela, i PX arcobaleno su cui puntavo i piedi nelle curve e mio zio Lele a cazziarmi "no, non mettere i piedi a terra che cadiamo!" (e ora si vorrebbe comprare la VespaThema). I gettoni, il telefono a gettone con la rotella, la macchina per scrivere, le audiocassette, le polaroid e i 45 giri, la televisione a colori "in stereofonia nelle zone raggiunte da questo servizio". Le lire, 50 100 200 500 a monete e qualche sparuta 20 lire nei primi anni Ottanta. Voglio rivedere Marco Polo sulle mille lire che a me ricordava lo Zio Jesse di Hazzard, le Torri Gemelle ancora in piedi e il mondo più spensierato di allora, senza cellulari e rotture di balle. Questo voglio! Ho 30 anni eppure sembra ne abbia vissuti quasi 90, visti i tremendi mutamenti che il mondo ha attraversato tra il 1980 e oggi.

Ma c'è un momento, nella mia vita, in cui torno a essere in quell'Italia di allora che aveva ancora il sorriso. E' quando scendo dalla Vespa al distributore e chiedo il pieno. Poi, con la flemma di chi celebra un rito, misurino Piaggio alla mano e boccetta dell'olio pronto, preparo la dose e la butto dentro il serbatoio. Gli altri, quelli che guardano le tette rifatte di Belen, avranno i loro scooterini plastichini del cavolino con il miscelatore o forse - eresia, a meno che non sia un nobilissimo MOTOM - col motore a 4 tempi. Loro che ne sanno, vanno di fretta: a noialtri invece, cui piace ancora Edwige Fenech, tutta naturale, questo gesto col misurino appare come un rito. Ed è allora, mentre i bambini guardano e sorridono, che sappiamo di essere figli di una civiltà automotociclistica indubbiamente superiore, eredi - in un colpo solo - dell'Itala e di Tazio Nuvolari in persona, che continua a guidare con lo sterzo rotto.
E' anche in quel gesto, così in fondo genuino e umano che chissà quanti altri fanno e hanno fatto insieme a me, a ricordarmi che ho un cuore. E che alla fredda perfezione dei byte preferisco il pot-pot-pot della mia marmittella sporca di scarico, la Vespa come cosa viva e non un prodotto impeccabile che ti trasporta. Affanculo tutto questo, voglio una cosa viva con cui parlare mentre viaggio e che mi capisce. Umana perché imperfetta. Come tutto quello che c'era e adesso, purtroppo, non c'è più.