Ciao,
ed ecco un po' di seguiti!
p.s. per la carne argentina credo anch'io, ma seeeempre cucinata alla toscana! :P
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10.08.2015 - 56814 km
1° notte fuori.
Partenza da Trieste, ultima colazione della tappa. Saluti al parentame presente. Serbatoio mezzo vuoto (diciamo pure vuoto) e prima benzina balcanica: che soddisfazione! Non tanto per il prezzo, eh, quello non è così straordinariamente ribassato - bisognerà arrivare in Serbia per un deciso “shock petrolifero”, ma per due buone ragioni: 1. sono riuscito ad arrivare al confine, e non era scontato; 2. la prima benzina fuori dai confini italiani non ha prezzo. Parto - ora lo si può dire senza pudore - praticamente senza problemi, solo che le strade sono segnalate a schifo, per cui.. zaaac, mi perdo nel salto da Illirska Bistrica a.. boh, vattelappesca, il nome è un susseguirsi di consonanti (forse anche questo ha influito nella perdita di vista della segnaletica necessaria).
Passo almeno 2/3 ore nei monti, sui sentieri dei taglialegna. Sterrato, niente asfalto, incontro si e no tre persone, due delle quali sono lavoratori che assistono ad uno spettacolo che spero sia stato interessante. Cerco di raccontarlo. Bosco, verdissimo, sul fianco della montagna, silenzio completo. A parte per il dolce ronzio del motore della vespa, chiaro. Ad un certo punto, senza alcuna anticipazione, sbuco dal sentiero in uno “slargo” (ossia un allargamento del diametro del sentiero, che passa dal metro e mezzo scarso tenuto fin lì a ben 6 metri - come se mi fossi immesso in un’autostrada. A un paio di metri di distanza, sul bordo destro, verso il fianco, ci sono due benne che spostano tronchi, guidati da due uomini di mezza età che, senza muovere un muscolo, mi seguono con gli occhi mentre io, tranquillo, senza diminuire la velocità - ho sempre la paura di “perdere il ritmo”, di fermarmi e di non ripartire, su quei terreni - a passo d’uso li supero, li saluto con la mano e mi ributto nel sentiero, che nel frattempo si restringe alle dimensioni precedenti. Fine degli incontri con la società civile.
Dopo qualche tempo, incredibilmente, incrocio una macchina (chiamiamo così, per amore di discussione, una dignitosa reliquia degli anni ’80, funzionante a carbone) e chiedo alla truppa a bordo - una coppia di anziani con cane - la direzione della città (villaggio) più vicina e finalmente ritorno.. beh.. diciamo all’asfalto, oltre non mi spiengerei.
Sono terribilmente fuori rotta, decisamente troppo a sud. Decido di virare verso Rijeka e da lì riprendere la rotta verso est. Ma è un macello, le strade croate sono segnalate malissimo. Infine arrivo a prendere la statale per Zagreb, ma è tutta una curva e avanzo lento - anche se Tesla si comporta benissimo, tiene botta a tutto e mantiene una buona velocità di crociera.
Ma ormai si sono fatte le otto, otto e mezzo di sera, e io detesto girare con il buio (senza contare che il fanale della vespa illumina poco, male e nella direzione sbagliata). Passata Karlovac mi fermo per dormire, ai bordi della statale pianto la tenda sul limitare di un campo di un contadino, che spero non avrà niente da obiettare.
I grilli cantano a volume altissimo.
11.08.2015 - XXX Km (ho già perso il conto, ebbene si, lo confesso)
Risveglio “non troppo traumatico” alle 05:00 del mattino. Decido di non attendere le 06:00 come pensato - “per rimettere in sesto la tabella di marcia”, ma in realtà per paura del contadino croato - e smonto subito.
Fuori, buio e nebbia. Albeggia a stento e parto sulla statale 36.
Fottute strade croate. La statale ad un certo punto si trasforma in strada bianca, mantenendo la cartellonista, tranne quella orizzontale, ovviamente, , e continua come se nulla fosse. Rimango incredulo davanti a questo esempio di.. autorganizzazione? Dal centro non hanno mandato l’asfalto e quindi la comunità si è organizzata come può? Indifferenza? Non è mica detto a priori che l’asfalto sia l’unico modo di assicurare una buona viabilità (in giro si vedono pochi mezzi a due ruote, nota bene). La cosa mi lascia molto perplesso, ma continuo ad aver fiducia nella locale versione dell’Anas: ci sarà un disegno dietro tutto questo.
Due ore dopo: mi rompo il cazzo e prendo la storica decisione: prenderò l’autostrada. Da Popocevo fino al confine e di là a Belgrado. Questa decisione mi rasserena, e inoltre titilla una qual certa anima “corsara”: in Italia è impossibile pensare di prendere l’autostrada con un mezzo non adatto - non c’è verso nemmeno di fare qualche km, prima di essere pescati e ributtati fuori - ma qui, qui inizio a sentirmi fuori dagli angusti confini italiani ed europei, fatti di leggi e regolamenti che conosco e non condivido. Qui, almeno, non li conosco, per cui posso cullarmi nell’illusione di essere “fuorilegge”. Giusto il tempo di trovare di nuovo l’asfalto a Popocevo, di consumare un caffeino e via, si profila davanti a me essa, l’autostrada.
Viaggio tranquillo, nemmeno troppo caldo. Lunga e diritta correva la strada, ed è una cosa che mi accompagnerà fino ai monti della Macedonia: i Balcani che attraverso io sono piatti, piattissimi, e non c’è verso di farsi sorprendere dal paesaggio. Eppure questa è la prima sorpresa, per uno come me abituato alle colline: anche la pianura può sorprendere. Non con un evento che si palesa l’ultimo - un borgo dietro una collina, un’attrazione naturalistica - ma con la lenta trasformazione dell’ambiente circostante. Le cose si vedono arrivare, ma non sono quelle che pensi.
Prima dell’ultimo salto della frontiera, mi fermo per un caffè in un altro posto dal nome impronunciabile - anche se in teoria questo non dovrebbe esimermi dal prenderne nota, in forma scritta: ma sono pigro, uh come sono pigro, in questo viaggio! e il caffè costa un’esagerazione, più di 1 euro. Il posto è il peggio degli anni ’70, in compenso incontro uno che parla italiano.
Non gli chiedo il nome, ultimo sussulto di una diffidenza innata verso gli sconosciuti che perderò nel corso del viaggio, e lui non lo chiede a me, ma attacchiamo comunque a parlare. Ha passato tre anni in Italia a lavorare nel Veneto - non so a cosa e non glielo chiedo - ma con l’introduzione dell’euro ha deciso di tornare in Croazia, dove lavora come “soccorso stradale”, riportando le macchine rotte negli stati dei loro proprietari. Bizzarro lavoro, ma siamo nei Balcani. Alle 13:00 e a 20 km dalla frontiera, intercetto una famiglia di fiorentini in viaggio verso Salonicco. Incredulità da parte loro, e mi offrono il pranzo (pasta con ragù e un formaggio molle, forse brie). Nonché il caffè, ovviamente. Tre generazioni in viaggio verso la Grecia, su due camper: nonno e nonna, figlio con moglie, nipotini. Strano effetto ma mi sembrano molto affiatati. Riprendo il viaggio e varco la frontiera: Serbia! Tesla si becca solo un’occhiata distratta da parte del doganiere, controllano la targa ma non guardano i documenti. Ma implicitamente danno l’ok all’autostrada e quindi: si continua! Dritti a Belgrado.
Arrivo di buon’ora - le 16:30/17:00 - e sbaglio subito le indicazioni per uscire dall’autostrada vicino al campeggio. Finisco per girare per il centro, poi mi ripiglio e finalmente, dopo quasi un’ora, ce la faccio. Campeggio piccino, dignitoso per ben 12,30€ a notte, che qui sono tanti, e che io con piacere pago (due mesi dopo in un campeggio di Cecina, ne dovrò sborsare 15 a notte ma quelli si, che mi peseranno: non troverò nemmeno la carta igienica).
Saluto tutti, c’è il wifi, e faccio il conto dei km: 355.